A Tino.
Questo post è dedicato a un amico che ho trattato male, perché mi sono sentita trattata male.
Quante volte sarebbe bello se anziché questa maledetta tastiera ci fosse il tavolo di una trattoria, di un'osteria. Forse davanti a un piatto di tagliatelle e un bicchiere di vino è tutto più semplice.
Ecco, ora non so bene cosa dire, mi sento come quei bambini che combinano sempre malestri. Nella mia vita ne ho fatti tanti, perché non sono mai riuscita a stare ferma e zitta, mai, nemmeno una volta. Quando sono stata zitta, non sono stata ferma.
Poi gli anni si sommano e i malestri diventano sempre più grandi, perché si aggiungono a quelli del passato.
Quando ero bambina mi sentivo come Pippi Calzelunghe e facevo e dicevo tutto quello che mi passava per la testa. Se c'era uno che mi stava antipatico, gli facevo lo sgambetto e lo facevo cadere. Non so quante volte sono stata menata, messa in punizione, redarguita, quante note ho preso sul registro, perché seguivo soltanto il mio istinto. Il mio istinto mi suggeriva di lottare contro le ingiustizie.
E piangevo soltanto di nascosto, sotto un tavolo, sopra un armadio, nel mio letto di notte quando tutti dormivano, dietro un cespuglio.
I miei di me dicevano che ero un galletto da combattimento, pronta a infiammarmi per qualsiasi causa.
"Sei uno stronzo" "Cos'hai detto?" "Sei uno stronzo" e quello mi dava una spinta e mi faceva cadere. Mi alzavo, quello mi porgeva la mano in segno di pace, ed io gli sputavo sulla mano.
Pensavo che bastasse la mia generosità, la mia sincerità, il mio spirito di abnegazione e la mia dolcezza (perché io dolce lo sono veramente, fino al midollo) a farmi perdonare, capire, accettare per quella che sono. Permalosa e orgogliosa, lucidamente folle come sono.
Poi crescendo mi sono resa conto che siamo tutti diversi e che bisogna rispettare gli altri, anche quando non ci capiscono. Perché gli altri non sono obbligati a nulla, nei nostri confronti. E che hanno il diritto di essere come cazzo gli pare.
Mi sono messa con tutto il mio impegno, toccando l'apice con il mio ex amore François, perché volevo espiare tutte le colpe o tutti i colpi del passato. Volevo dimostrarmi di avere pazienza, che non sono poi così cattiva. Volevo chiudere dei conti in bellezza.
A volte però la mia anima ribelle, quella che tira pugni ai vetri, quella che è insofferente, che non aspetta, che taglia subito la strada, quella che soffre di claustrofobia, che soffre per un torto o per una frase, che si sente incompresa, quella che scriverebbe un bel "Vaffanculo" con le nuvole nel cielo... viene fuori, e poco importa se la frase è stata detta con ironia o senza cattiveria.
Eppure anch'io di ironia ne faccio sempre tanta.
Esistono anche gli altri, con le loro anime ribelli e insofferenti, sofferenti, con le loro fragilità e punti di forza dai quali abbiamo sempre da imparare, i loro problemi che impediscono loro d'essere sempre lucidi e attenti, la loro bontà d'animo... e quando sono cattiverie son più che altro cazzi loro, punizioni che si autoinfliggono (il loro inferno è già in terra, perché preoccuparsi di punirli?)... e siamo tutti diversi e gli altri non sono lo specchio di noi... e soprattutto la cosa migliore è perdonare.
Perdonare non significa farsi mettere i piedi in testa, significa non farsi carico, come supereroi, delle manchevolezze di questa umanità. E abbandonare il rancore per abbracciare la consapevolezza.
Se non si capisce questo non si cresce, si rimane Peter Pan e Pippi Calzelunghe (da un punto di vista supereroistico) per sempre.
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categoria : riflessioni semiserie
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