70 anni dopo... Angelo Fortunato Formiggini
"si nasce editori come si nasce poeti"
"si nasce editori come si nasce poeti"
editore geniale, brillante, acutissimo e ironico, fondatore della Casa del Ridere archivio dell'umorismo di tutti i tempi, nato a Modena nel 1878 e qui, dopo una vita dedicata interamente a diffondere la cultura nel nostro paese, morto suicida gettandosi dalla Ghirlandina, il 28 novembre 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali volute dal fascismo... sì perché (particolare non insignificante) era pure ebreo
(da Wikipedia) La Casa editrice cominciò a declinare negli anni Trenta: il bilancio tracciato nei suoi Venticinque anni dopo, pubblicati nel 1933, sembra quasi premonitore. Quando il regime, nel 1938, cominciò a preparare l'opinione pubblica in vista delle leggi razziali, dando il via alla propaganda antisemita - il 14 luglio 1938 su «Il Giornale d'Italia» esce l'articolo Il fascismo e i problemi della razza, in agosto appare il primo numero de «La difesa della razza» - anche Formìggini fu costretto a ricordare quel che sembrava aver dimenticato: di essere ebreo, lui, antisionista ed estraneo a ogni particolarismo religioso e culturale. Gli scritti di quei mesi, pubblicati nel dopoguerra col titolo di Parole in libertà, uniscono l'invettiva antifascista e antimussoliniana a ingenue esortazioni agli Ebrei di sciogliere la propria identità culturale e religiosa, in una assimilazione alla quale «si era avviati a grandissimi passi: i nuovi eventi l'hanno troncata. Ma questa non è che una pausa, che sarà più o meno lunga, dopo la quale il cammino sarà ripreso di corsa».
Mutò proprietà e nome della Casa editrice per evitare l'espropriazione e tentò di ottenere i benefici - che si chiamavano «discriminazioni» - previsti per gli ebrei che avessero costituito una famiglia «ariana» e fossero estranei all'ortodossia ebraica. Essendo stato tutto inutile, si preparò al suicidio, a cui pensava da mesi. Tornò a Modena, come a chiudere formalmente e simbolicamente il ciclo della propria vita e, la mattina del 29 novembre 1938 si gettò dalla Ghirlandina, la torre del Duomo, precipitando su un breve spazio di selciato che lui stesso, in una delle ultime lettere, aveva ironicamente chiesto di chiamare, in suo ricordo, al Tvajol ed Furmajin, il tovagliolo del Formaggino: una lapide così intitolata oggi lo ricorda.
Ai giornali fu imposto il silenzio. L'unico commento di regime che ci è conservato è la battuta - che bene illumina il valore dell'uomo che la pronunciò e gli ideali a cui s'ispirava - del segretario del Partito fascista, Achille Starace: «È morto proprio come un ebreo: si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola».
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categoria : cronache sovversive, editoria da corrida, vera poesia, un grande
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