ululato da Pralina alle ore 16:10 sabato, 20 dicembre 2008
Ho riletto La vita agra di Luciano Bianciardi, un libro aspro di sapore e ruvido al tatto, il racconto autobiografico che parte dalla Maremma grossetana del dopoguerra martoriata da uno scoppio in miniera per approdare a Milano dove la gente corre dalla mattina alla sera per i dané, una scrittura colta, intelligente, duttile, raffinata, ma anche sgangherata all'occorrenza, che indugia nella macchietta qualche volta, e che si fa beffe di un certo intellettualismo che vorrebbe dimenticare le radici popolari, ma sempre spietata, lucidissima, capace di sintesi estreme (caricaturali) e nello stesso tempo di descrizioni che entrano nei più piccoli reconditi spazi fra le cose e nelle idee; dove il "miracolo italiano" dei primi anni 60 è trattato per quello che è sotto la superfice dorata: il sacrificio di tanti uomini e donne per il "progresso", questo mostro moderno al quale le nostre vite sono subordinate. Morti sul lavoro, morti per le strade, vite parziali per i ritmi di lavoro, sonni spezzati mai fatti per intero, nessun diritto all'ozio, alla lentezza, alla sessualità "lenta" e ripetuta, alla diversità, alla libertà di muoversi e d'essere come si vuole, nei nostri corpi, nessun diritto a "strascicare i piedi", ad ammalarsi o ad essere grassi (un esempio che mi piace: a grassezza femminile, l'opulenza di tette e di corpo di donna, per Bianciardi, amante della vera bellezza femminile, è una benedizione e non una cosa da correggere nel nome dell'efficienza aziendale, lui la chiama a più riprese e in numerose pagine, in termini spregiativi la "secchezza terrea" delle "segretariette" che richiama l'automatismo, l'infertilità e la morte), relazioni umane falsate perché interessate totalmente al denaro e al "fare". E tutto (tutta la corsa, come la chiama Bianciardi "il sollevare polvere" perché s'alzano i piedi per marciare, quel "andare camminare lavorare" di cui parla mirabilmente Piero Ciampi) che gira intorno ai soldi, intorno agli oggetti, al consumo, alla produttività. Ci spiega perché le stesse persone che da vicini di casa ti sparerebbero se ascolti la musica classica dall'altra parte del muro, poi non protestano, non dicono nulla quando le strade sono martoriate dai rumori dai trapani degli stradini che aprono "buche" continuamente e ovunque. Un uomo che nel 1962 aveva visto in avanti, aveva capito tutto, fino a spingersi a sognare l'anarco-primitivismo di cui parlerà Zerzan in altri anni, in un altro contesto. Una descrizione cronaca analisi che oggi di tempi di recessione, di "calo della produttività", pare ancora più lucida e beffarda. Chi siamo stati e cosa abbiamo prodotto? E' questa la nostra vita?
A chi provasse curiosità, glielo consiglio vivamente, con gli altri suoi scritti, così come consiglio "La vita agra di un anarchico" di Pino Corrias, che parla della sua vita, che si legge d'un soffio, e ti rimane una traccia d'una importanza epocale.
Luciano Bianciardi Permafrost ¦commenti (14) ¦ commenti (14)(popup) categoria : vita, popoli nativi, vera poesia, rialzati italia |
lunedì 27 maggio 2013
20 dicembre 2008
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