"Un poeta o uno scrittore che non abbia per scopo la ribellione, che lavori per conservare lo status quo della società, non è un artista: è un morto che parla in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli, perciò deve essere eminentemente rivoluzionaria".
Questa frase di Bruno Misefari apre questo suo libro di poesie, che comunque non è un'opera omnia. Il libro è stato curato da Giuseppe Vermiglio, e presentato sabato scorso al Circolo Libertario Fiorentino con interventi della mia compagna Pralina Tuttifrutti, autrice di due delle opere grafiche presenti nel volume, e dal sottoscritto che ha letto e commentato vari testi. Bruno Misefari (1892-1936) era calabrese, e fu, oltre che poeta, ingegnere minerario, filosofo e anarchico molto in vista. Antimilitarista, fu condannato per il suo rifiuto alla divisa ed espatriò in Svizzera dove conobbe Pia Zanolli, anche lei potessa, che sposò nel 1931 durante il confino a Ventotene sotto Mussolini. Parlare della sua vita è veramente impresa ardua: troppo ricca di eventi benchè di breve durata. Estrarrò alcuni pezzi dalla presentazione, veramente pregevole, dell'Avv. Antonio Orlando, studioso di poesia e anarchismo calabrese.
"La poesia non è meno misteriosa degli altri elementi dell'Universo", diceva all'inizio del 900 il grande Luis Borges. Ma esiste davvero una poesia "anarchica"? E se sì, come bisogna intenderla? Come espressione di un pensiero politico o piuttosto come una forma poetica nuova ed innovativa, sganciata da qualunque canone estetico? A che cosa si deve fare riferimento, ai contenuti, al messaggio, allo spirito? O alla forma, alla musicalità, all'armonia? Molti hanno attribuito alla poesia una funzione catartica e rivoluzionaria, tuttavia non è scontato che questa funzione debba per forza coincidere o generata da pulsioni politiche, indignazione verso le ingiustizie o per le sofferenze degli umili e dei poveri. Dilemmi che in quegli anni venivano risolti dall'Avv. Pietro Gori, grande dell'anarchismo, difensore degli sfruttati, nonchè autore di commedie, poesie e inni immortali, come "Addio, Lugano bella", che è oggi presente in tutte le corali italiane, di qualsiasi colore o ispirazione politica. Misefari comincia a scrivere sui banchi di scuola, in tempi molto bui: la guerra di Libia, le rivolte sociali, la fame, la disoccupazione. La sua vena si affina durante l'esilio svizzero, dopo l'evasione dal carcere militare di Napoli. Nel 1917 a Zurigo conobbe la grande poetessa Ada Negri, donna animata da spirito socialista, che lo incoraggiò a continuare ma senza molto entusiasmo. Lei stessa era al giro di boa: stava per aderire all'interventismo di stampo mussoliniano, e la sua poetica volgeva verso la ricostruzione maniacale della propria infanzia triste ed infelice. Misefari prova a trovare uno stile suo proprio, ed in parte riesce in questo suo tentativo, ma purtroppo risente assai dei manierismi e degli idiomatismi tipici dei suoi tempi. Inoltre in quel momento rifulge l'astro di Abele Rizieri Ricciardi, in arte Bruno Novatore, poeta maledetto che si ispira alla frangia più violenta dell'anarchismo, al punto di concludere la sua breve vita in un conflitto a fuoco coi Carabinieri nel 1922, ma che colpisce e rapisce coi suoi versi impetuosi, infuocati e visionari. Bruno non avrà comunque molto tempo per coltivare la bella pianta della poesia: le sue scelte di vita sono estreme, per quegli anni, e lo sottoporranno a prove feroci. Sorvegliato speciale dalla polizia, più volte incercerato, boicottato nel suo lavoro da una multinazionale (!) del vetro, dato che tra i primi aveva intuito le grandi potenzialità della quarzite fusa nel vetro. Un tumore ce lo porta via il 12 giugno del 1936 a Roma. Pia Zanolli gli sopravviverà fino al 1980, custode fedele delle opere e della figura di Bruno. Una prima stampa delle sue opere viene curata nel 1969 da lei a Roma, e ora questa, che ha visto anche l'apporto di opere pittoriche e grafiche notevoli. La copertina, per esempio, è del grande Pablo Echaurren. Estraggo questa poesia che mi piace particolarmente e che mi ha emozionato fin da subito.
Primi capelli bianchi che spuntate
sul capo stanco della mamma mia,
esseri inconsci, quanto mi recate
crudeli sbuffi di malinconia...
Voi non sapete, e pur tutto svelate
il vero eterno all'anima restìa:
voi nol vedete e pur me l'indicate
quel freddo avello che da lungi spia...
Ed io qui giaccio mentre voi spuntate,
il cuor colmo di malinconia,
perchè mi dite che non c'è pietate,
e che sol resto sulla fredda via...
O primi capelli bianchi che spuntate
sul capo stanco della mamma mia.
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